di Michele Riondino
Film italiano del 2023 (99 min.)
L’ultima volta che sono morto ero tranquillamente seduto sul divano.
Guardavo il telefonino prima di trasferirmi davanti alla tv. Mi sono alzato. Capogiro
e vertigini. Sarà il caldo di oggi e poi mi sono alzato troppo velocemente.
Niente di che, passerà subito. Mentre guardavo una puntata di una serie, quella
strana sensazione aumentava. Vabbè spengo e vado a letto, sarò stanco e
affaticato. Una notte di riposo e domani passerà. Come si dice a Sassari: “l’altrhi”. Mi alzo. Sbatto all’armadio.
Mi devo tenere in piedi aggrappandomi dove riesco. Il pavimento è inclinato. E’
in discesa. No ora è in salita, Cazzo è tutto “barrittosto”. Che mi succede? Non capisco niente. Le vertigini sono
tremende. Sembra di essere ubriaco su una zattera in mezzo a un mare forza
Torres (sempre). Arriva il mal di mare e la nausea. Capisco finalmente che cos’è
la forza di gravità. Il pavimento mi attrae a se. Mi vuole. Vuole lo schianto.
Stare in piedi e non cadere è un impresa che ha del miracoloso. Riesco per puro
spirito di sopravvivenza ad arrivare in bagno e centrare il cesso. Vomito. Ritorno
a letto. Mi sdraio e “l’Oba Oba” riparte senza tregua. Impietoso. Crudele. Sono
sudatissimo ma ho un freddo incredible. Mi copro con una coperta. Sto
malissimo. Mi rialzo e sbatto nuovamente all’armadio. Manovro deciso verso
il cesso. Questa volta è ancora peggio. Il corridoio è larghissimo, poi
improvvisamente stretto. Diventa parabolico. Arrivo per miracolo sulla tazza e
rivomito. Inizia a uscire il sangue dal naso. Sono il protagonista di un film
splatter senza saperlo. Un classico del pulp. Non me ne sono nemmeno accorto. E’
uno scherzo? Vomito e sangue dappertutto. Ovunque. Dopo 4 ore di incredibile
sofferenza chiamo il 118. Salgo sull’ambulanza con le mie residue forze e giù
per via Budapest verso il pronto soccorso. Il battito è tenue e respiro veramente
piano. Via sulla barella. Dal medico di turno, non ricordo il colloquio, ma
solo un’infermiera che prende la vena e mi spara dentro qualcosa. Non so cos’è?
Ma è miracoloso. La nausea passa. Altra ambulanza. Mi portano dall’otorino di
turno. Che prende e mi rivolta come un calzino. “E’ la manovra di …. (non so
che cazzo). perchè potrebbero essere gli otoliti spostati e vanno rimessi al
loro posto”, mi dice la torturatrice. Le vertigini non passano e riprende la
nausea (dio bastardo). Comunque è tutto negativo. Ancora ambulanza, si torna al
pronto soccorso. La teniamo in osservazione. Sempre sulla barella, in silenzio
in un angolo cerco di riposare. Ma il pronto soccorso è un girone dantesco. Un
inferno in terra. Urla, gente che si lamenta, infermieri che corrono, medici
che gesticolano, sirene che suonano ecc… ecc… Sono qui da 5 ore, sdraiato sulla
barella, quando mi dicono che devo fare una Tac al cervello. Porca di una
grandissima troia, che pensano che abbia? Altro giro, altra corsa. Su e giù per
corridoi, ascensori e corsie affollate. Faccio la Tac. Negativa anche questa. Ritorno
giù. L’infermiera mi dice che sta arrivando il neurologo per una visita. Non
una, non due ma per ben 3 volte arrivano
diverse dottoresse. Muovi gli occhi, segui la penna, toccati la punta
del naso con le dita e cosi sia. Proviamo ad alzarci? Oooouuuuuuu!!! Niente.
Riprovo. Al secondo tentativo mi metto in piedi. Riesco a fare due passetti
alla volta sostenuto da una dottoressa niente male (sto iniziando a sentirmi
meglio o non avrei fatto certi pensieri). Rilassi il collo, chiuda gli occhi e
track, track, track, track. Bella e malvagia. Mi gira il collo come se fossi
una gallina destinata alla pentola. Visita neurlologica superata. Nessun
problema neurologico riscontrato. Ma che cazzo ho? “Un bruttissimo e devastante
attacco alla cervicale, che ha causato il capogiro, le vertigini e tutte le
conseguenze, ha il collo tettaro, la
rimandiamo a casa”. Debolissimo e spossato. Finalmente dopo 15 ore di pronto
soccorso, una serie interminabile di bestemmie (alcune in idiomi che neanche
conosco) e una terapia da seguire, ritorno a casa …. “e il terzo giorno resuscitò secondo le scritture”
Ieri sera ero abbastanza sereno. Ho cenato con una generosa dose di
carboidrati. Ho bevuto una Punk Ipa
in terrazzo e quando ho deciso di guardare un film ero sicuro e fiducioso della
scelta fatta. Ignaro e inconsapevole che il film giusto per rilassarmi sul
divano fosse, in realtà, in assoluto una delle decisioni peggiori prese negli
ultimi tempi. Questa mattina mi sono svegliato pensando: “Io sono la fine del mondo” è una
cagata pazzesca (42 minuti di applausi). Eppure le aspettative erano tante.
Fino a ieri sera l’anti-comico siciliano Angelo Duro mi piaceva. Il suo stile
crudo, essenziale e cinico mi faceva sorridere. Apprezzavo sinceramente il suo
prendere di mira tutto e tutti senza peli sulla lingua. Ma dopo ieri sera ….. mmhhh. Fare
un film del genere e spacciarlo per commedia all’italiana richiede molto
coraggio. Distante, impersonale, grottesco (non in senso buono). Un mix
soporifero di banalità, stronzate e sketch prevedibili e scontati. Dialoghi
scritti male, battute inutitli e una trama ordinaria hanno reso l’ennesimo
teletrasporto di un comico teatrale sul grande schermo uno sconforto unico. Ma
che grandissimo cazzo. Non ci siamo proprio. La commedia italiana che ha reso
grande il cinema è ben altra cosa. Sono certo che la commedia debba provocare,
è un fatto, ma farlo senza una riflessione, no. Un tempo si rideva e, soprattutto,
ci si ritrovava nei personaggi. Noi stessi, un vicino, i parenti, il commesso
del negozio (ecc… ecc..) esistevano realmente. Qui siamo nell'iperuranio. Questo film è l’ennesima
delusione. Un bullo pop pieno di concetti spazzatura dove non si ride di se ma
solo degli altri. Imbarazzante. Monicelli si starà rivoltando nella tomba. Comunque
non essendo un critico cinematografico, questa è solo la mia personale opinione.
Cosa mi è venuto in mente ieri sera? “Io sono la fine del mondo” mi ha rovinato
il venerdi. Vaffanculo!!!
Pasta a cena? Certamente. Padella antiaderente, un po’ di olio e due pugni di
pangrattato. Faccio tostare fino a quando non diventano del colore dello
zucchero di canna. Metto in una ciotola, prendo un limone e ne grattugio dentro
un pò di buccia. Mischio. Butto gli spaghettoni nell’acqua. Nel frattempo, in
una padella: aglio, olio, abbondante peperoncino
e una dose massiccia di pasta d’acciughe. Faccio soffriggere per bene e allungo
con 2/3 cucchiai di acqua di cottura. Grazie all’amido si crea una bella
cremina. Scolo gli spaghettoni, li butto in padella e aggiungo il pangrattato.
Mangio. Divano. It’s Friday i’m in love!!! zzzzz ..... zzzzz ..... zzzzz .....
Quaranta gradi all’ombra, questa casa
è una tomba ….. il sole picchia come Ronda ….. un’altra estate, merda. Che
facciamo? Tutto il giorno in mutande …. Vabbè balliamo (mangiamo)!!! Gazpacho? Tre pomodori, un pezzo di
cipolla rossa, uno spicchio d’aglio (senz’anima), un cuggummaru (cetriolo),
zenzero, una foglia di basilico, olio, sale, pepe e via dentro il mixer.
Frullate a bomba. Filtrate. Mettete in un piatto fondo e aggiungete crostini di
pane e qualche gambero tritato (cotto precedentemente). Ecco la mia dose di refrigerio in una giornata dimmerda!!!
Mi sono imbattuto in lui quando stavo creando la serie di quadri “Weird
Fishes”. Stavo semplicemente cercando dei romanzi marinareschi delle atmosfere
lontane. Ed eccolo qui. George Simenon. Non ero minimamente a conoscenza, che
quello del commissario Maigret (che non avevo mai cagato più di tanto), avesse
scritto di mare. Chi l’avrebbe mai detto? E invece, lo scrittore belga, è stato
un prodigioso e singolare reporter. Ahahahahah!!! Neanche a dirlo che già avevo
tra le mani il primo dei due diari di viaggio sul mare (ne ha scritto anche
altri); scoprendo che oltre alla sua amata pipa, gli immancabili liquori e le
donne, Simenon amava anche le avventure nautiche, spinto da un grande desiderio
di libertà, avventura e scoperta.
Andiamo per ordine di lettura. Il primo “Il Mediterraneo in barca”, è
un opera che incarna perfettamente lo spirito avventuroso. Racconta di un
viaggio a bordo di una goletta tra giugno e settembre del 1934. Le pagine sono
intrise di dettagli sulla navigazione e sulla vita di bordo, ma anche di
riflessioni personali sul mare, sul viaggio e sulla curiosità dell’uomo.
Cronache, incontri, luoghi affascinanti e un dettagliato capitolo sui bordelli
dell’epoca (dovevo scriverlo), mi hanno coinvolto in questa lunga crociera; da
Porquerolles alla Tunisia, passando per Malta, la Sicilia, fino al traguardo finale
di Arbatax, dove il Mediterraneo diventa un personaggio a se, quasi come un
compagno di viaggio. Il secondo diario l’ho beccato per caso sgabuzzando in
libreria. L’ho comprato subito. “A
margine dei meridiani”, non è un vero diario di viaggio, assomiglia più a
un’antologia. Sono articoli scritti tra il 1933 e il 1939, dove il romanziere racconta
le storie di uomini e donne che vivono ai margini della società, spesso in
contesti marittimi. Tra le cose della povera gente, con una abilità letteraria
capace di trasportarti direttamente sulla scena, farti sentire il vento
salmastro sulla faccia e il rollio della barca sotto i piedi. Che gran
scrittore, un vero maestro nel catturare l’essenza del mare e delle sue storie,
vivide e piene di vita. Capace di trasformare qualsiasi esperienza in romanzo. Due
libri colmi di storie, atmosfere, personaggi lontani, che mi hanno fatto
perdere e allo stesso tempo navigare con la mente, tra le onde, i venti e gli
orizzonti perduti del grande blu. Vi lascio con queste parole: “………. quando scende la notte. Una chitarra
sgrana qualche nota, timida sulle prime e una voce ancor più timida le
risponde. Non riusciamo più a vederci. Non ci conosciamo. Ma ci passiamo vino bianco
da una barca all’altra. Si scorgono ombre che scavalcano i parapetti. Altre
voci si uniscono alla prima ……....”