Non mi importa proprio un bel cazzo di come verrà ricordato questo 2024
appena finito. Non conta che abbia compiuto 50 anni. Non conta o conta
veramente poco quello che è accaduto nel mondo. Continuo a vivere ugualmente e
nonostante, tutto o quasi ormai mi disgusti, ma state tranquilli non affronterò
l’argomento, nè tantomeno parlerò del mio caustico negativismo. Ci sarà sempre tempo
per le mie sentenze o i miei giudizi. Qualcosa già mi frulla in testa. Perché
ricorderò questo 2024? Esistono svariati motivi: i mostriciattoli che crescono,
le belle serate con gli amici, buoni libri, i tramonti, il mare, la pittura, i
gin tonic, ripartire con la corsa, ecc… ecc… ma tutto quest’anno, da poco
finito, è tenuto insieme da un filo particolare. Una colonna sonora unica e
familiare, una musica dirompente e radicata. Un “Punk Rock filo Sovietico
Emiliano”. Se il mio 2024 avesse un titolo, sarebbe sicuramente: “CCCP – Fedeli
alla Linea”.
Sabato 9 febbraio, Reggio Emilia. Non c’è freddo e manca il sole. La pianura
padana è sonnolenta, silenziosa e ovattata. La “noia normale” si interrompe improvvisamente quando passiamo in
macchina davanti ai Chiostri San Pietro a Reggio Emilia. Baaamm!!! Arriva la
botta di adrenalina. Da mesi si parlava di questa tappa e finalmente ci siamo.
Sono qui, proprio dove volevo essere. “Felicitazioni”.
Veniamo accolti, al Checkpoint Charlie, dai colpi di mitragliatrice di “Juri”.
Si inizia. Man mano che mi addentro, rimango affascinato. Non è la solita
mostra per inguaribili nostalgici di una gioventù ormai passata, è arte
contemporanea. Una creazione che avvolge, coinvolge e stimola. Non la semplice
celebrazione per i 40 anni (1984-2024) della band, è qualcosa di più. E’ un
esperienza trasversale e invasiva. Un epico percorso creativo, stimolato da
luci, filmati, manifesti, dischi e musica. Ci sono come ovvio anche i
memorabila del caso, ma riescono a integrarsi nel discorso generale come
semplici testimoni della storia della band. Com’è ovvio e come è sempre stato,
l’obiettivo è aspettarsi “un emozione
sempre più indefinibile”. Abbandoniamo l’Emilia verso l’ora del tramonto,
emozionati e stupefatti, con quell’aria malinconica che gli addii lasciano.
Senza sapere quello che ancora ci aspetta, ci sono ancora tanti km da fare e
abbiamo un aereo da prendere.
Gioved’ 18 luglio, Sassari. Ieri ho compiuto 50 anni. Non ho festeggiato. Semplicemente non
ne avevo voglia e non sentivo questo traguardo cosi importante da rompere i
coglioni alle persone, (soprattutto col caldo estivo). Quando invitano me a un
compleanno di solito bestemmio, “Porco dioooooo noooo, ma che cazzoooo, che
rompicoglioni”. Per cui niente festa, niente auguri, ma il regalo, quello si.
Qualcosa di personale e unico, solo per me. Da tempo mi ronza in testa. E’
arrivato il momento giusto. E’ arrivato il momento di sanguinare un po’. Un
tatuaggio è quello che ci vuole. “Ortodossia”.
Una parola che rappresenta ormai il mio modo di essere e di confrontarmi col
mondo. Una parola spesso fraintesa e legata unicamente alla religiosità. Ma per
gli atei convinti come me, etimologicamente significa correttezza, rettitudine
e opinione. Sono ortodosso perché negli anni ho costruito un mio codice di
comportamento, una sorta di dottrina
filosofica-morale che cerco di rispettare sempre (anche se,una volta ho
sgarrato di brutto) per non arrecare danni agli altri e vivere sereno con me
stesso. E poi “compagni, cittadini,
fratelli, partigiani” che leggete queste righe, sapete benissimo che
Ortodossia è il primo singolo pubblicato dai CCCP nel 1984. La prima pietra
lanciata. Il primo atto di resistenza e protesta, la linea di demarcazione di
un universo culturale diverso e unico, che ha cambiato per sempre la mia
visione e il mio approccio alle cose della vita.“… non sono come tu mi vuoi …” Marchiato per sempre.
Sabato 3 agosto, Alghero. “
…. ciò che deve accedere accade …” E venne il giorno (direi io). Difficile da
spiegare quello che ho provato quando c’è stato l’annuncio degli annunci. Ferretti,
Zamboni, Fatur e la bellissima Annarella, tornano su un palco. Finalmenteeeee!!!
La cellula si risveglia. E poi l’attesa. L’inizio del concerto, le prime note
di Depressione Caspica e gli “occhi
infossati, lucidi. Noie col respiro. Mi si accellera il fiato. Eppure sono vivo
…” L’atmosfera è quella che colpisce, un unico rito collettivo Punk per chi
ricorda e ancora sogna in maniera differente. Giovanni Lindo canta la sua
liturgia postmoderna, scandita dal suono disturbato della chitarra di Zamboni,
dalle performance dell’artista del popolo italiano Danilo Fatur, e dalla
benemerita soubrette Annarella Giudici.
Sono loro i protagonisti di un’epoca dove si suonava per dire qualcosa, per
necessità e per risvegliare le coscienze. Il concerto è un viaggio nel tempo,
le canzoni sono un viaggio nel tempo, sono il richiamo a un’identità culturale
assonata ma attuale. Chi l’avrebbe mai
detto, dopo tanti anni, e quel primo difficile ascolto, che avrei cantato
ancora le loro canzoni. Quel lampo di luce oltre il muro nato un’estate di 40
anni fa a Berlino è ancora vivo. Ogni parola, ogni suono. vibrano nell’aria
carichi di sofferenza. Io, la folla, tutti lo cantiano come un canto d’amore. Ho
gli occhi lucidi, la pelle d’oca e tremo. “In fedeltà la linea c’è …….”
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