Jesse Owen
Sabato mattina. Apro gli occhi e chiedo ad Alexa che ore sono? “8 e 17“
risponde lei. Mi alzo dal letto. Vado in cucina mezzo addormentato e avvio la
macchinetta del caffè; lo prenderò al ritorno. Vado al cesso. Mi guardo allo
specchio. Non male. Piscio. Misuro la glicemia (112, perfetta). Ripasso per la
cucina. Prendo il caffè. Mi avvio nuovamente in camera. Poggio il bicchiere sul
comodino. Sollevo la serranda. Mi rimetto sotto le coperte, e chiedo ad Alexa
di avviare Spotify. “Metti i CCCP”. “Aaaaahhhhhh fantastico”. Ora non mi resta
che oziare. Non farò niente fino a sentirmi felice. Mentre Giovanni Lindo
Ferretti intona “Per me lo so” e il sole entra caldo dalla porta finestra,
avverto una strana sensazione. Sto bene, anzi “io sto bene” (cit.). Non ho
dolori. Solitamente mi sveglio sempre con qualche acciacco, un ginocchio
scricchiolante, una spalla intorpidita, le anche che meglio se lasciamo perdere
e così via. Oggi no. Non so il perché. I miei piani per un ozio solenne vanno a
farsi fottere in pochi minuti. Finisco il caffè, metto i calzini, le scarpe, un
paio di pantaloncini, una maglietta, una felpa e sono in strada. Un tempo
avrei preso anche il cronometro e il GPS, ma quei tempi sono finiti. Inizio a
correre. C’è un bel sole, non caldissimo ma potrebbe essere un buon compagno di
sgambata. Ippodromo. Il sentiero sterrato che passa intorno alla pista è ancora
bagnato dall’umidità della notte. L’aria fresca di questa mattinata domina
incontrastata insieme al silenzio. Non si sente il traffico, non si sentono
persone parlare, solo qualche cane in lontananza e le cornacchie che presiedono
il territorio. Ho sempre amato questa sensazione, correre in questo modo. Solo,
senza avere idea di quanti chilometri percorrerò, nè quanto ci metterò a farlo.
Non importa quanto vada veloce o piano, conta solo questa fuga nel vuoto. Una
sospensione spazio-temporale dove contano i miei pensieri e l’acido lattico
delle mie gambe. Un magnifico momento Zen, una personalissima opera d’arte,
l’appagamento di una necessità. Soprattutto nei giorni difficili. I pensieri si
avvicendano nella mia mente, da insistenti diventano sempre più leggeri, fino a
scomparire del tutto. In questo momento il sangue serve ai muscoli non al
cervello. E’ un attimo unico quello di non pensare più. Non architettare più
niente. Libero. Arrivare a quella sensazione d’indipendenza da tutto e tutti è
sorprendente ogni volta. Una lunga distanza, la sofferenza del corpo, il respiro
affannato e la maglia sudata (sempre) sono la conclusione di una felice mattinata
passata a oziare..
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