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martedì 10 dicembre 2024

Lazy saturday morning

“Non importa cosa trovi alla fine di una corsa, l’importante è quello che provi mentre stai correndo. Il miracolo non è essere giunto al traguardo, ma aver avuto il coraggio di partire”.
Jesse Owen

Sabato mattina. Apro gli occhi e chiedo ad Alexa che ore sono? “8 e 17“ risponde lei. Mi alzo dal letto. Vado in cucina mezzo addormentato e avvio la macchinetta del caffè; lo prenderò al ritorno. Vado al cesso. Mi guardo allo specchio. Non male. Piscio. Misuro la glicemia (112, perfetta). Ripasso per la cucina. Prendo il caffè. Mi avvio nuovamente in camera. Poggio il bicchiere sul comodino. Sollevo la serranda. Mi rimetto sotto le coperte, e chiedo ad Alexa di avviare Spotify. “Metti i CCCP”. “Aaaaahhhhhh fantastico”. Ora non mi resta che oziare. Non farò niente fino a sentirmi felice. Mentre Giovanni Lindo Ferretti intona “Per me lo so” e il sole entra caldo dalla porta finestra, avverto una strana sensazione. Sto bene, anzi “io sto bene” (cit.). Non ho dolori. Solitamente mi sveglio sempre con qualche acciacco, un ginocchio scricchiolante, una spalla intorpidita, le anche che meglio se lasciamo perdere e così via. Oggi no. Non so il perché. I miei piani per un ozio solenne vanno a farsi fottere in pochi minuti. Finisco il caffè, metto i calzini, le scarpe, un paio di pantaloncini, una maglietta, una felpa e sono in strada. Un tempo avrei preso anche il cronometro e il GPS, ma quei tempi sono finiti. Inizio a correre. C’è un bel sole, non caldissimo ma potrebbe essere un buon compagno di sgambata. Ippodromo. Il sentiero sterrato che passa intorno alla pista è ancora bagnato dall’umidità della notte. L’aria fresca di questa mattinata domina incontrastata insieme al silenzio. Non si sente il traffico, non si sentono persone parlare, solo qualche cane in lontananza e le cornacchie che presiedono il territorio. Ho sempre amato questa sensazione, correre in questo modo. Solo, senza avere idea di quanti chilometri percorrerò, nè quanto ci metterò a farlo. Non importa quanto vada veloce o piano, conta solo questa fuga nel vuoto. Una sospensione spazio-temporale dove contano i miei pensieri e l’acido lattico delle mie gambe. Un magnifico momento Zen, una personalissima opera d’arte, l’appagamento di una necessità. Soprattutto nei giorni difficili. I pensieri si avvicendano nella mia mente, da insistenti diventano sempre più leggeri, fino a scomparire del tutto. In questo momento il sangue serve ai muscoli non al cervello. E’ un attimo unico quello di non pensare più. Non architettare più niente. Libero. Arrivare a quella sensazione d’indipendenza da tutto e tutti è sorprendente ogni volta. Una lunga distanza, la sofferenza del corpo, il respiro affannato e la maglia sudata (sempre) sono la conclusione di una felice mattinata passata a oziare..


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