Solitudine: sostantivo
femminile [so-li-tu-di-ne]
Esclusione da ogni rapporto di presenza o vicinanza altrui, desiderato o ricercato come motivo di pace o di raccolta intimità (cercare la solitudine). Oppure sofferta in conseguenza di una totale mancanza d’affetti, di sostegno e di conforto (sentire il peso della solitudine). Ambiente o spazio inabitato e deserto, con un senso d’inospitale o sconfinata vastità (la solitudine oceanica).
Forse ci siamo, finalmente potrebbe essere la volta giusta. Come si suol
dire: “il ciak buono”. Ho cancellato e riscritto questo post chissà quante
volte che ho perso il conto. Ogni volta che mi sedevo davanti al computer e
affrontavo il discorso “Solitudine”, sbagliavo. Avevo un approccio troppo filosofico,
aulico e celebrativo per un concetto e un discorso in realtà molto semplice. “Mi piace stare da solo”. Oooohhh cazzooo!!!
Finalmente sono riuscito a scriverlo senza troppi giri di parole e senza appesantire
troppo questo post. Dicevo: “stare da solo”. Ogni giorno che passa, vado sempre
più alla ricerca di quella pausa rigenerante e necessaria per pensare e
sopravvivere. Sicuramente sto invecchiando male (anzi malissimo) ma ormai preferisco
di gran lunga il silenzio di una stanza vuota al vociare rumoroso della gente
(perché, diciamocelo pure tra noi, a volte la gente fa schifo). Ho creato un
mio “Habitat” dove musica, libri, film, l’arte, dipingere (meno in questo
periodo) e il divano mi accolgono cordiali come un porto riparato accoglie dei
naviganti durante una tempesta. E’ una sensazione a cui non so più rinunciare,
la “mia” solitudine è un traguardo
voluto e inseguito. Non fraintendetemi non sono diventato tutto a un tratto un
orso e non vivo da solo nella foresta (per quanto l’idea mi affascini), ho solo
capito che spesso ho realmente bisogno di stare per i cazzi miei. Numerosi
filosofi (ecco, sto ricadendo nei discorsi pesanti) sottolineavano l’importanza
della solitudine come necessaria per la propria crescita. Vabbè, abbandoniamo
questi discorsi, prima di addentrarci in un ginepraio senza via d’uscita. Tranquilli
mi piace ancora stare con la gente, ma ormai gestisco serate e uscite in base
alle persone, ai luoghi e in prima istanza al mio umore (spesso di merda). Poi quando
arriva la “malattia” e scappa la
mano, sono ancora capace di brutte frequentazioni in pessimi posti.
Ahahahahah!!! Potrei definirlo un paradosso Kafkiano, so stare in mezzo alla
gente perché so stare solo con me stesso. Mmmmhhh!!! Dai. Tutto sommato non è
un brutto post, diciamo che ne ho scritto di peggiori. Non so come chiuderlo.
Non so neanche il perchè di tanta ostinazione nello scriverlo, e non so se,
vedrà mai la luce. Nel caso, scriverlo è stata una necessità, un momento
creativo e una piccola introspezione. Probabilmente un modo per raccogliere, in
poche righe, un ragionamento che serve a me stesso per esorcizare quei momenti
di assoluta indipendenza. Non è una soluzione a niente, forse neanche un
consiglio, ognuno è libero di fare come vuole nella sua vita. Ma ogni tanto scappare
da tutto e tutti è necessario (almeno per me). La mia è solo una fuga autosufficiente
e volontaria creata per portarmi a una forma straordinaria di libertà. A volte
scelgo la solitudine, perchè ho sempre fatto ottima compagnia a me stesso ……
Drinn!!! Drinn!!! Drinn!!! ….. Chi cazzo è che rompe???
Esclusione da ogni rapporto di presenza o vicinanza altrui, desiderato o ricercato come motivo di pace o di raccolta intimità (cercare la solitudine). Oppure sofferta in conseguenza di una totale mancanza d’affetti, di sostegno e di conforto (sentire il peso della solitudine). Ambiente o spazio inabitato e deserto, con un senso d’inospitale o sconfinata vastità (la solitudine oceanica).
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