Era l’estate del 1986.
Avevo appena compiuto 12 anni. Ero a casa di un’amica del mare, all’Isola
Rossa. Il fratello più grande quasi maggiorenne accese il lettore cd per
ascoltare un po’ di musica. Rimasi letteralmente folgorato dal suono che usci
da quel radione sgangherato. Cazzo che energia, che sound pazzesco e che voce.
Chiesi immediatamente chi fosse la cantante. Janis Joplin, non la conosci? E
come facevo, avevo dodici anni e mi stavo affacciando al mondo. Ricordo che
presi il cd e inizia a sfogliare la copertina, l’album era il “Greatest Hits”.
Passai tutto il pomeriggio ad ascoltarlo quasi incantato, immobile, assorto
nella magia di quella musica e di quel momento (ma soprattutto per fare l’uomo
di mondo). Comunque al rientro a Sassari, dopo l’estate, una delle prime cose
che feci, fu andare a comprare quell’album. E non esito a dire che, è
sicuramente e senza l’ombra di alcun dubbio, l’album che ho ascoltato di più in
vita mia…. Questo piccolo prologo serve solo a introdurvi al post che sto per
scrivere e che come avrete capito parlerà di musica e della sua regina
incontrastata “Janis Joplin”. Da tempo avevo in mente di scrivere un pezzo su
di lei, fin da quando ho creato questo blog. L’occasione e l’imput finalmente
sono arrivati dopo che in questi giorni ho finito di leggere una delle tante
biografie a lei dedicate. Nacque il 19 gennaio del 1943 in una cazzo di
cittadina del Texas, Porth Arthur. Un ambiente puritano e razzista, basato sul
lavoro nelle raffinerie e la chiesa. La giovane Janis sovrappeso e con la pelle
rovinata dall’acne, vivrà una giovinezza piena di complessi, trovando rifugio
nella pittura, nella musica, nell’ostentata diversità, nelle amicizie scomode
(per la comunità) e negli eccessi. Tra i 17 e i 20 anni ne combina di tutti i
colori, la musica inizia ad avere un ruolo importante ma va di pari passo con
l’alcool, le amicizie scomode, gli arresti e le fughe da casa. Fino a quella
definitiva che la porta in california, a San Francisco. Dove Janis entra a far
parte della scena hippy, conoscendo metanfetamina, l.s.d. eroina, ed esibendosi
nei numerosi locali della città. Fino al 1966 quando, decisa a ripulirsi da
tutto e da tutti, torna a casa. Vi dura poco perché viene convinta a unirsi
alla “Big Brothers and the Holding Company”. La fusione tra la voce abrasiva di
Janis e l’acid- blues della band fu un successo strabiliante. Il gruppo divenne
famoso e dopo la spettacolare performance al Monterey festival nel 1967,
vengono chiamati anche a suonare a Woodstock l’anno successivo. Arriva il primo
contratto, il primo album e il primo tour per gli stati uniti. Il successo
raccolto dalla cantante e molto meno dalla band (poco professionale), dopo una tormentata decisione, la
convince ad abbandonare il gruppo per intraprendere la carriera da solista.
Tutto sfocia nell’album del 1968 “Cheap Trhills”, dove capeggia una fantastica
acida e graffiante cover di “Summertime”. Janis Joplin, nonostante non fosse
una top-model, diviene un sex-simbol. La sua sessualità selvaggia, il continuo
e ripetuto uso di droghe (finisce sei volte in overdose in un solo anno) la
rendono l’alter ego femminile ai musicisti dell’epoca, come Hendrix (col quale
ebbe anche una storia) e Morrison. Realizza il suo primo album per la columbia
“I got dem Ol’ Kozmic blues again mama” in collaborazione con la Kozmic Blues
Band, per l’appunto. La sua carriera va alla grande così come l’uso e l’abuso
di eroina (in quel periodo si fa fino a otto pere al giorno). All’inizio del
1970 inizia la lavorarazione per creare un nuovo album, “Pearl” (il suo
sopranome usato con gli amici). Un album fantastico e sensazionale, con canzoni
come “Cry baby”, “Geti t while tou can” e “Mercedes benz”. Purtroppo l’album
uscirà postumo, perché prima arriva quella tragica notte di Hollywood. Quel 4
ottobre del 1970, al Landmark motor hotel, si spegne per sempre la sua voce.
Una voce appassionata e struggente, ruggine e miele, una straziante unione tra
furore e tristezza, un primordiale blues malinconico. A soli 27 anni
l’esistenza tormentata di Janis Joplin, trascorsa pericolosamente tra alcool e
droghe finisce. Svanendo dentro quell’ultimo buco.
Discografia
·
1967 – Big Brothers and the Holding
Company
· 1968
– Cheap Trhills
· 1969
– Igot Dem Ol’ Kozmic Blues Again mama!
·
1971 – Pearl
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