Torniamo indietro negli anni 30’. L’Uruguay è una piccola repubblica modello, fucina laica del welfare sudamericano. Ha abolito la pena di morte, legalizzato il divorzio, garantito l’istruzione gratuita, costruito uno stato sociale tra i più avanzati dell’epoca. Montevideo si afferma come capitale culturale e portuale. Crocevia di fermento intellettuale, tango, passioni e migranti in fuga dalle guerre. E in quel paese promettente, attraversato dagli echi di una ottimista modernità, che nel 1935 nasce Josè Mujica. Cresce nel quartiere “Paso de la Arena”, tra serre di fiori, povertà e rigore familiare. Il padre, piccolo agricoltore di origine basca muore presto. La madre, figlia d’immigranti italiani, tiene in piedi la baracca, educandolo alla responsabilità. Pepe conosce fin da bambino il lavoro della terra, impara a vivere con poco e osserva il mondo con occhi critici. A scuola sfoglia riviste anarchiche, si avvicina alla cultura libertaria e respira l’inquietudine dei sobborghi. Quando varca la soglia del liceo “Balzà”, non ha ancora deciso se sarà un fioraio o un ribelle. Negli anni 60’ quel paese, un tempo accogliente, comincia a chiudersi. Sotto la superficie si muovono idee politiche avverse, il cui scontro provoca una scossa reazionaria che incrina le fondamenta del sistema democratico. Qualcosa inizia a scricchiolare. La pressione internazionale, in particolare quella degli stati uniti (sempre loro, pezzi di merda), timorosi dell’influenza cubana e sovietica nel continente, si traduce in un sostegno alle forze reazionarie. L’elitè economica uruguayana, impaurita dalle conquiste sindacali e dalle rivendicazioni dei lavoratori; spinge perché si affermi uno stato autoritario che difenda i propri interessi. Trova spazio così il neoliberismo. Un modello economico che, sotto la finta retorica della modernizzazione e del libero mercato, smantella le tutele sociali rafforzando le diseguaglianze. In questa cornice, agli albori degli anni 60’ nasce il “Movimento de Liberacion National Tupamarus” (MLN). L’organizzazione, fondata dal rivoluzionario Raul Sendic, emerge tra i lavoratori della canna da zucchero e si espande fino a diventare una struttura capillare con colonne militanti nelle città e nelle campagne. Mujica, ex militante del MIR (un gruppo socialista radicale), vi aderisce e assume il nome di “Facundo”. Il termine “Tupamaros” viene scelto per rivendicare l’eredità di Tupac Amaru II, il meticcio andino che nel 18esimo secolo, guidò la più grande rivolta indigena contro il dominio coloniale spagnolo; prima di essere giustiziato a Cuzco, nel 1781, Tupac Amaru disse: “tornerò e sarò milioni”. I Tupamaros colpiscono obiettivi simbolici, banche, casinò, finanziarie corrotte. Come moderni Robin Hood, distribuiscono i bottini nei quartieri popolari della metropoli rioplatense. S’infiltrano in strutture del potere economico e denunciano pubblicamente trame di corruzione. Josè Mujica partecipa ad azioni memorabili, tra cui l’assalto alla finanziaria “Monty” dove sequestrano documenti rivelatori di evasione fiscale, riciclaggio e corruzione, lasciando poi quelle carte girare per le strade. Facundo prende parte anche alla celebre interruzione della radiocronaca della finale di calcio della Coppa Libertadores (tra Il National e l’Estudiantes del la Plata), per diffondere un messaggio di denuncia della repressione, esortando la popolazione a unirsi alla lotta per la giustizia sociale. Finchè non cadono le prime vittime della resistenza, il consenso per il movimento MLN è diffuso oltre modo; ma più diventano famosi più la loro rete segreta si indebolisce fino a rimanere del tutto scoperta. Nel 1970 Mujica viene arrestato per la prima volta, ma riesce a evadere. Catturato nuovamente partecipa alla spettacolare fuga del 1971 da “Punta Carretas”. 106 detenuti, tra cui i principali leaders Tupamaros, fuggono attraverso un tunnel scavato sotto terra. L’operazione è chiamata “el abuso”, rimane una delle più audaci evasioni della storia contemporanea. Ma nel 72’ con l’intensificarsi della violenza istituzionale, viene arrestato definitivamente. Mujica diventa con altri 8 leaders un ostaggio permanente, “Los Rehenes”. Il governo minaccia apertamente che qualora fossero state compiute nuove azioni da parte dell’MLN, gli 8 sarebbero stati uccisi. Per 13 anni, Mujica e i suoi vivono una condizione di isolamento, torture psicologiche, privazione di igiene, cibo e cure. Sette di questi anni li passano sotto terra, in celle verticali e strette senza illuminazione. Vengono spostati continuamente, separati, picchiati, privati del sonno, della luce, della comunicazione. Passano settimane senza sapere chi di loro sia ancora vivo, nè che giorno sia. Mujica soffre di allucinazioni uditive, di un costante ronzio alle orecchie che attribuisce a un registratore immaginario; sente di essere spiato notte e giorno, convinto che persino la sua mente sia sotto sorveglianza. L’isolamento lo spinge a inventarsi strategie di sopravvivenza mentale. Ha raccontato di aver nutrito le formiche con la mollica del pane per avere un senso di relazione, di aver conversato a lungo con ragni per non impazzire, di aver sognato che la carta igienica fosse un giornale per avere la consapevolezza di sapere cosa accadesse fuori da quel non luogo. L’Uruguay intanto precipita in una dittatura civico-militare sostenuta dalle forze armate. Dopo lo scioglimento del parlamento da parte del Presidente Bordaberry, i militari occupano le istituzioni, censurano la stampa e instaurano un clima di terrore sistematico. In relazione a ciò intere città scendono in piazza e scioperano, fabbriche e scuole vengono occupate. La Resistenza dilaga. La risposta non si fa attendere ed è brutale. Oltre 10mila arresti politici, torture, prigionie senza processo, persecuzioni familiari. I bambini nati in carcere restano rinchiusi con le madri. Le famiglie dei detenuti vengono perseguitate, punite, minacciate. Il piano è preciso, non eliminare fisicamente gli oppositori (come accadeva in Argentina durante il così detto “Processo di riorganizacion national”), ma annientarli psicologicamente. Molti carcerieri diranno: “Non potevamo ucciderli, li abbiamo fatti impazzire”. Mujaca dirà che l’Uruguay aveva interiorizzato, fin dai tempi di Battle Y Ordònez (padre dello stato sociale laico), un senso etico, per quanto distorto della vita umana. In Uruguay afferma: “La vita valeva molto”. Un formalismo deontologico che salva il corpo ma può annientare le menti. Dopo anni di “carcere speciale” come pedagogia alla paura, quando ai detenuti viene finalmente concessa qualche ora d’aria, il primo contatto visivo con i compagni è devastante, non si riconoscono tra loro. Il 27 novembre 1983, mezzo milione di persone scende in piazza, sventolando bandiere, cantando inni proibiti e declamando un proclama per la democrazia. E’ fatta!!! Josè e gli altri ostaggi sono tra gli ultimi a essere scagionati. E’ il 10 marzo 1985. Quando Pepe esce ha quasi 50 anni, è consumato dalla solitudine e dalla mal nutrizione ma è incredibilmente lucido. Contribuisce al ritorno della sinistra legale e ritorna a vivere con la donna che ama, Lucia Topolansky (anche lei guerrigliera ed ex detenuta). Nel 1995 entra in parlamento in jeans e giacca a vento. La notte del 29 novembre del 2009 a Montevideo , davanti a una folla immensa, Josè Mujica, dopo la vittoria elettorale che lo consacra presidente del suo paese, sale sul palco e pronuncia parole che rovesciano ogni gerarchia simbolica. Dice: “Dovreste esser voi su questo palco e noi in basso ad applaudirvi”. Respinge il rancore, “Abbiamo eletto un Governo non un padrone delle verità”. Riconosce le sue contradizioni e quelle del paese e invita a fare un passo alla volta. Durante il suo mandato sorprende il mondo guidando una stagione di riforme sociali senza precedenti. Legalizza la cannabis, il matrimonio egualitario, l’aborto e l’adozione per coppie omosessuali. Potenzia la scuola pubblica con il piano Ceibal, garantendo l’accesso universale alla tecnologia. Partecipa sin da subito a progetti di edilizia popolare per costruire case dignitose con e per le famiglie in povertà estrema. Amplia i programmi d’inclusione sociale, mantenendo sempre un profilo sobrio, conservando uno stile di vita austero e coerente. Rinuncia al palazzo, al salario presidenziale, alle convenzioni. Niente lusso. Continua a vivere nella sua casa di campagna con Lucia e dimentica sovente di tenere il cellulare vicino nonostante la carica. Immerso nella cura del suo giardino, ignaro che i suoi collaboratori lo stiano cercando per qualche incontro ufficiale. Ahahahahah!!! Fantasticooo!!! Mentre la società globale osserva con stupore questo presidente contadino, l’Uruguay si trasforma in un modello progressista per tutta l’America latina. Eppure resta una figura controversa, chi lo considera troppo radicale e chi di essere troppo indulgente nei confronti degli autori di crimini durante la dittatura. Parlando di remissione dice: “il perdono non può essere una sentenza dello Stato, ma solo una scelta intina di chi ha subito il male”. Nel 2012, mentre i leaders globali parlano di crescita e competività, dal podio delle Nazioni Unite denuncia la società moderna, parlando di felicità, di sobrietà e di tempo. “Lavorare per consumare e consumare per esistere, mentre il Tempo, vera misura della Libertà, viene barattato per oggetti il cui possesso è privo di senso. Siamo nati per essere felici, non per essere eterni consumatori”. Nel 2014 accoglie nel paese intere famiglie siriane fuggite dalla guerra ed ex detenuti di Guantanamo, in nome della solidarietà e dalla tradizione uruguayana dell’accoglienza. Josè Pepe Mujica, il rivoluzionario diventato presidente, è scomparso il 13 maggio di quest’anno (2025), all’età di 89 anni. Questa è la sua storia. La storia di un uomo che ha attraversato l’abisso senza diventare oscurità. Che ha risposto alla violenza col romanticismo delle sue idee. Un uomo che è tornato per “essere milioni”.
- Sassari, la Torres, svegliarsi all’IsolaRrossa, fare colazione al bar, il tramonto di Marinedda, la festa della birra trinitaiese, il "Che", il Genoa, la partitella di basket, l’alcool, gli amici, le tette enormi, la libertà, la birra, la fotografia, la musica, dipingere, correre, la gnocca, viaggiare, le sbornie, la pornografia, Diego Armando Maradona, i Led Zeppelin, lo stomaco attorcigliato e il cuore che batte per qualcuna (stronza), fottersene, George Best, vivere una crisi, i CCCP, mandare tutti a fare in culo, giocare a subbuteo, leggere, odiare, i p*mpini, il cibo, Dublino, il mare, le amiche del mare, lE d****e, il calcio, le donne, Fabrizio De Andrè, fare un giro con la vespa, l’amore, il venerdì sera, il cecio del giorno dopo, i libri, i Pink Floyd, gli assilli, le occhiaie sul viso, il comunismo, essere di sinistra, le scimmie, gli Afterhours, alcuni films, la lista delle persone che mi stanno sul cazzo, la pasta al forno di nonna, Janis Joplin, le scritte sui muri, il culo di una ragazza che ho visto l’altro giorno per strada, i campari soda, la musica sassarese, ascoltare un vinile, mincionare, la figa, una bella scopata, gli spaghetti n°5 Barilla aglio olio e peperoncino, le cazzate dette al bancone dei bar, il panino gorgonzola e mortadella a metà mattina, la colazione dei campioni, raccontare storie, i panini di Renato, la sculacciata a pecorina, il poker, festeggiare almeno un mondiale, impennare, andare in libreria, i tatuaggi, pisciare in mezzo alla natura, i vecchi oggetti, stare da solo, i polizieschi italiani anni '70, cucinare per gli amici, farsi un giro in bicicletta, la liquirizia, il signor G. Mina, giocare a carte, Andy Capp, i calamari fritti, la mattonella di melanzane della L, Capitan Harlock, Enrico Berlinguer, qualche serie tv, essere un Impiccababbu, l'nduja. il Duca Bianco, Charles Baudelaire, coltivare qualcosa, Snoopy, bestemmiare, i Joy Division, il gin tonic, Heminguay, il Picoolo Bar, i films con gli squali, Tina Modotti, i pistacchi, le botte al Fight Club, Charles Bukowski, la poesia, la pennicchella ………. To be continued
martedì 15 luglio 2025
L'ultimo romantico guerriglièro
Torniamo indietro negli anni 30’. L’Uruguay è una piccola repubblica modello, fucina laica del welfare sudamericano. Ha abolito la pena di morte, legalizzato il divorzio, garantito l’istruzione gratuita, costruito uno stato sociale tra i più avanzati dell’epoca. Montevideo si afferma come capitale culturale e portuale. Crocevia di fermento intellettuale, tango, passioni e migranti in fuga dalle guerre. E in quel paese promettente, attraversato dagli echi di una ottimista modernità, che nel 1935 nasce Josè Mujica. Cresce nel quartiere “Paso de la Arena”, tra serre di fiori, povertà e rigore familiare. Il padre, piccolo agricoltore di origine basca muore presto. La madre, figlia d’immigranti italiani, tiene in piedi la baracca, educandolo alla responsabilità. Pepe conosce fin da bambino il lavoro della terra, impara a vivere con poco e osserva il mondo con occhi critici. A scuola sfoglia riviste anarchiche, si avvicina alla cultura libertaria e respira l’inquietudine dei sobborghi. Quando varca la soglia del liceo “Balzà”, non ha ancora deciso se sarà un fioraio o un ribelle. Negli anni 60’ quel paese, un tempo accogliente, comincia a chiudersi. Sotto la superficie si muovono idee politiche avverse, il cui scontro provoca una scossa reazionaria che incrina le fondamenta del sistema democratico. Qualcosa inizia a scricchiolare. La pressione internazionale, in particolare quella degli stati uniti (sempre loro, pezzi di merda), timorosi dell’influenza cubana e sovietica nel continente, si traduce in un sostegno alle forze reazionarie. L’elitè economica uruguayana, impaurita dalle conquiste sindacali e dalle rivendicazioni dei lavoratori; spinge perché si affermi uno stato autoritario che difenda i propri interessi. Trova spazio così il neoliberismo. Un modello economico che, sotto la finta retorica della modernizzazione e del libero mercato, smantella le tutele sociali rafforzando le diseguaglianze. In questa cornice, agli albori degli anni 60’ nasce il “Movimento de Liberacion National Tupamarus” (MLN). L’organizzazione, fondata dal rivoluzionario Raul Sendic, emerge tra i lavoratori della canna da zucchero e si espande fino a diventare una struttura capillare con colonne militanti nelle città e nelle campagne. Mujica, ex militante del MIR (un gruppo socialista radicale), vi aderisce e assume il nome di “Facundo”. Il termine “Tupamaros” viene scelto per rivendicare l’eredità di Tupac Amaru II, il meticcio andino che nel 18esimo secolo, guidò la più grande rivolta indigena contro il dominio coloniale spagnolo; prima di essere giustiziato a Cuzco, nel 1781, Tupac Amaru disse: “tornerò e sarò milioni”. I Tupamaros colpiscono obiettivi simbolici, banche, casinò, finanziarie corrotte. Come moderni Robin Hood, distribuiscono i bottini nei quartieri popolari della metropoli rioplatense. S’infiltrano in strutture del potere economico e denunciano pubblicamente trame di corruzione. Josè Mujica partecipa ad azioni memorabili, tra cui l’assalto alla finanziaria “Monty” dove sequestrano documenti rivelatori di evasione fiscale, riciclaggio e corruzione, lasciando poi quelle carte girare per le strade. Facundo prende parte anche alla celebre interruzione della radiocronaca della finale di calcio della Coppa Libertadores (tra Il National e l’Estudiantes del la Plata), per diffondere un messaggio di denuncia della repressione, esortando la popolazione a unirsi alla lotta per la giustizia sociale. Finchè non cadono le prime vittime della resistenza, il consenso per il movimento MLN è diffuso oltre modo; ma più diventano famosi più la loro rete segreta si indebolisce fino a rimanere del tutto scoperta. Nel 1970 Mujica viene arrestato per la prima volta, ma riesce a evadere. Catturato nuovamente partecipa alla spettacolare fuga del 1971 da “Punta Carretas”. 106 detenuti, tra cui i principali leaders Tupamaros, fuggono attraverso un tunnel scavato sotto terra. L’operazione è chiamata “el abuso”, rimane una delle più audaci evasioni della storia contemporanea. Ma nel 72’ con l’intensificarsi della violenza istituzionale, viene arrestato definitivamente. Mujica diventa con altri 8 leaders un ostaggio permanente, “Los Rehenes”. Il governo minaccia apertamente che qualora fossero state compiute nuove azioni da parte dell’MLN, gli 8 sarebbero stati uccisi. Per 13 anni, Mujica e i suoi vivono una condizione di isolamento, torture psicologiche, privazione di igiene, cibo e cure. Sette di questi anni li passano sotto terra, in celle verticali e strette senza illuminazione. Vengono spostati continuamente, separati, picchiati, privati del sonno, della luce, della comunicazione. Passano settimane senza sapere chi di loro sia ancora vivo, nè che giorno sia. Mujica soffre di allucinazioni uditive, di un costante ronzio alle orecchie che attribuisce a un registratore immaginario; sente di essere spiato notte e giorno, convinto che persino la sua mente sia sotto sorveglianza. L’isolamento lo spinge a inventarsi strategie di sopravvivenza mentale. Ha raccontato di aver nutrito le formiche con la mollica del pane per avere un senso di relazione, di aver conversato a lungo con ragni per non impazzire, di aver sognato che la carta igienica fosse un giornale per avere la consapevolezza di sapere cosa accadesse fuori da quel non luogo. L’Uruguay intanto precipita in una dittatura civico-militare sostenuta dalle forze armate. Dopo lo scioglimento del parlamento da parte del Presidente Bordaberry, i militari occupano le istituzioni, censurano la stampa e instaurano un clima di terrore sistematico. In relazione a ciò intere città scendono in piazza e scioperano, fabbriche e scuole vengono occupate. La Resistenza dilaga. La risposta non si fa attendere ed è brutale. Oltre 10mila arresti politici, torture, prigionie senza processo, persecuzioni familiari. I bambini nati in carcere restano rinchiusi con le madri. Le famiglie dei detenuti vengono perseguitate, punite, minacciate. Il piano è preciso, non eliminare fisicamente gli oppositori (come accadeva in Argentina durante il così detto “Processo di riorganizacion national”), ma annientarli psicologicamente. Molti carcerieri diranno: “Non potevamo ucciderli, li abbiamo fatti impazzire”. Mujaca dirà che l’Uruguay aveva interiorizzato, fin dai tempi di Battle Y Ordònez (padre dello stato sociale laico), un senso etico, per quanto distorto della vita umana. In Uruguay afferma: “La vita valeva molto”. Un formalismo deontologico che salva il corpo ma può annientare le menti. Dopo anni di “carcere speciale” come pedagogia alla paura, quando ai detenuti viene finalmente concessa qualche ora d’aria, il primo contatto visivo con i compagni è devastante, non si riconoscono tra loro. Il 27 novembre 1983, mezzo milione di persone scende in piazza, sventolando bandiere, cantando inni proibiti e declamando un proclama per la democrazia. E’ fatta!!! Josè e gli altri ostaggi sono tra gli ultimi a essere scagionati. E’ il 10 marzo 1985. Quando Pepe esce ha quasi 50 anni, è consumato dalla solitudine e dalla mal nutrizione ma è incredibilmente lucido. Contribuisce al ritorno della sinistra legale e ritorna a vivere con la donna che ama, Lucia Topolansky (anche lei guerrigliera ed ex detenuta). Nel 1995 entra in parlamento in jeans e giacca a vento. La notte del 29 novembre del 2009 a Montevideo , davanti a una folla immensa, Josè Mujica, dopo la vittoria elettorale che lo consacra presidente del suo paese, sale sul palco e pronuncia parole che rovesciano ogni gerarchia simbolica. Dice: “Dovreste esser voi su questo palco e noi in basso ad applaudirvi”. Respinge il rancore, “Abbiamo eletto un Governo non un padrone delle verità”. Riconosce le sue contradizioni e quelle del paese e invita a fare un passo alla volta. Durante il suo mandato sorprende il mondo guidando una stagione di riforme sociali senza precedenti. Legalizza la cannabis, il matrimonio egualitario, l’aborto e l’adozione per coppie omosessuali. Potenzia la scuola pubblica con il piano Ceibal, garantendo l’accesso universale alla tecnologia. Partecipa sin da subito a progetti di edilizia popolare per costruire case dignitose con e per le famiglie in povertà estrema. Amplia i programmi d’inclusione sociale, mantenendo sempre un profilo sobrio, conservando uno stile di vita austero e coerente. Rinuncia al palazzo, al salario presidenziale, alle convenzioni. Niente lusso. Continua a vivere nella sua casa di campagna con Lucia e dimentica sovente di tenere il cellulare vicino nonostante la carica. Immerso nella cura del suo giardino, ignaro che i suoi collaboratori lo stiano cercando per qualche incontro ufficiale. Ahahahahah!!! Fantasticooo!!! Mentre la società globale osserva con stupore questo presidente contadino, l’Uruguay si trasforma in un modello progressista per tutta l’America latina. Eppure resta una figura controversa, chi lo considera troppo radicale e chi di essere troppo indulgente nei confronti degli autori di crimini durante la dittatura. Parlando di remissione dice: “il perdono non può essere una sentenza dello Stato, ma solo una scelta intina di chi ha subito il male”. Nel 2012, mentre i leaders globali parlano di crescita e competività, dal podio delle Nazioni Unite denuncia la società moderna, parlando di felicità, di sobrietà e di tempo. “Lavorare per consumare e consumare per esistere, mentre il Tempo, vera misura della Libertà, viene barattato per oggetti il cui possesso è privo di senso. Siamo nati per essere felici, non per essere eterni consumatori”. Nel 2014 accoglie nel paese intere famiglie siriane fuggite dalla guerra ed ex detenuti di Guantanamo, in nome della solidarietà e dalla tradizione uruguayana dell’accoglienza. Josè Pepe Mujica, il rivoluzionario diventato presidente, è scomparso il 13 maggio di quest’anno (2025), all’età di 89 anni. Questa è la sua storia. La storia di un uomo che ha attraversato l’abisso senza diventare oscurità. Che ha risposto alla violenza col romanticismo delle sue idee. Un uomo che è tornato per “essere milioni”.
sabato 12 luglio 2025
Curami (le vertigini)
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Tempera acrilica su tela 40x60 cm |
domenica 6 luglio 2025
Un film al giorno leva il medico di torno
“tre film al giorno, tre libri alla
settimana, dei dischi di grande musica faranno la mia felicità …” così diceva Francois Truffaut,
desideroso di immergersi continuamente in queste forme d’arte. Impossibile da
realizzarsi, nonostante in questi giorni sia ancora convalescente e viva
praticamente in simbiosi con il divano e numerosi cuscini, a cui ho dato
persino un nome. Ahahahahah!!! Leggendo poco per via delle vertigini, mi sono
buttato sul cinema. Un film al giorno, rigorosamente italiano (mi ha preso
così). Espio le mie colpe sdraiato. Avendo un po’ trascurato il genere
(rimpinzandomi di serie tv straniere), vittima di pregiudizi causati da una
serie incredibile di pseudo-film discutibili (più che altro commedie),
scarsamente memorabili, per niente originali e poco meritevoli di giudizi. Il
cinema italiano non lo merita. Perchè esite una nuova generazione che lavora
per trasformare quei pigri pregiudizi. Ho riscoperto un cinema contemporaneo,
con un linguaggio attuale, sociale e sub-culturale. Rinnovato, trasformato, aperto
a nuove tecniche e sperimentazioni. Sono
stato un vero cretino nel trascurarlo. Una rivalsa patriotica. Un film ogni
sera; verso le 22, quando il caldo molla la sua presa malefica e un leggero
rivolo d’aria “dona a noi la pace”
(cit.). Un film al giorno (qualche volta due) per tenermi compagnia, per
rigenerarmi e approfondire la conoscenza di questa “nouvelle vague d’autore
italiana “. Hikikomori per necessità. Cinefilo, da divano, per esigenza. Visti
per la prima volta, o riguardati volentieri, chi più e chi meno mi sono
piaciuti tutti. Una vasta gamma di emozioni. Ansia, gioia, tristezza, rabbia,
eccitazione, pace e tranquillità. Storie realistiche o fantastiche, che mi
hanno fatto pensare, riflettere, capire il contesto storico e determinati
valori. Ispirato sicuramente e voglioso di continuare questa mia “personale rassegna cinematografica”. E
come dicevano un tempo, le signorine buonasera: “Buona visione a tutti e
portatemi subito una birra gelida. Porcaaaaa puttanaaaaa!!!”
domenica 29 giugno 2025
Redemption
di Michele Riondino
Film italiano del 2023 (99 min.)
sabato 28 giugno 2025
L'ultima volta che sono morto
L’ultima volta che sono morto ero tranquillamente seduto sul divano.
Guardavo il telefonino prima di trasferirmi davanti alla tv. Mi sono alzato. Capogiro
e vertigini. Sarà il caldo di oggi e poi mi sono alzato troppo velocemente.
Niente di che, passerà subito. Mentre guardavo una puntata di una serie, quella
strana sensazione aumentava. Vabbè spengo e vado a letto, sarò stanco e
affaticato. Una notte di riposo e domani passerà. Come si dice a Sassari: “l’altrhi”. Mi alzo. Sbatto all’armadio.
Mi devo tenere in piedi aggrappandomi dove riesco. Il pavimento è inclinato. E’
in discesa. No ora è in salita, Cazzo è tutto “barrittosto”. Che mi succede? Non capisco niente. Le vertigini sono
tremende. Sembra di essere ubriaco su una zattera in mezzo a un mare forza
Torres (sempre). Arriva il mal di mare e la nausea. Capisco finalmente che cos’è
la forza di gravità. Il pavimento mi attrae a se. Mi vuole. Vuole lo schianto.
Stare in piedi e non cadere è un impresa che ha del miracoloso. Riesco per puro
spirito di sopravvivenza ad arrivare in bagno e centrare il cesso. Vomito. Ritorno
a letto. Mi sdraio e “l’Oba Oba” riparte senza tregua. Impietoso. Crudele. Sono
sudatissimo ma ho un freddo incredible. Mi copro con una coperta. Sto
malissimo. Mi rialzo e sbatto nuovamente all’armadio. Manovro deciso verso
il cesso. Questa volta è ancora peggio. Il corridoio è larghissimo, poi
improvvisamente stretto. Diventa parabolico. Arrivo per miracolo sulla tazza e
rivomito. Inizia a uscire il sangue dal naso. Sono il protagonista di un film
splatter senza saperlo. Un classico del pulp. Non me ne sono nemmeno accorto. E’
uno scherzo? Vomito e sangue dappertutto. Ovunque. Dopo 4 ore di incredibile
sofferenza chiamo il 118. Salgo sull’ambulanza con le mie residue forze e giù
per via Budapest verso il pronto soccorso. Il battito è tenue e respiro veramente
piano. Via sulla barella. Dal medico di turno, non ricordo il colloquio, ma
solo un’infermiera che prende la vena e mi spara dentro qualcosa. Non so cos’è?
Ma è miracoloso. La nausea passa. Altra ambulanza. Mi portano dall’otorino di
turno. Che prende e mi rivolta come un calzino. “E’ la manovra di …. (non so
che cazzo). perchè potrebbero essere gli otoliti spostati e vanno rimessi al
loro posto”, mi dice la torturatrice. Le vertigini non passano e riprende la
nausea (dio bastardo). Comunque è tutto negativo. Ancora ambulanza, si torna al
pronto soccorso. La teniamo in osservazione. Sempre sulla barella, in silenzio
in un angolo cerco di riposare. Ma il pronto soccorso è un girone dantesco. Un
inferno in terra. Urla, gente che si lamenta, infermieri che corrono, medici
che gesticolano, sirene che suonano ecc… ecc… Sono qui da 5 ore, sdraiato sulla
barella, quando mi dicono che devo fare una Tac al cervello. Porca di una
grandissima troia, che pensano che abbia? Altro giro, altra corsa. Su e giù per
corridoi, ascensori e corsie affollate. Faccio la Tac. Negativa anche questa. Ritorno
giù. L’infermiera mi dice che sta arrivando il neurologo per una visita. Non
una, non due ma per ben 3 volte arrivano
diverse dottoresse. Muovi gli occhi, segui la penna, toccati la punta
del naso con le dita e cosi sia. Proviamo ad alzarci? Oooouuuuuuu!!! Niente.
Riprovo. Al secondo tentativo mi metto in piedi. Riesco a fare due passetti
alla volta sostenuto da una dottoressa niente male (sto iniziando a sentirmi
meglio o non avrei fatto certi pensieri). Rilassi il collo, chiuda gli occhi e
track, track, track, track. Bella e malvagia. Mi gira il collo come se fossi
una gallina destinata alla pentola. Visita neurlologica superata. Nessun
problema neurologico riscontrato. Ma che cazzo ho? “Un bruttissimo e devastante
attacco alla cervicale, che ha causato il capogiro, le vertigini e tutte le
conseguenze, ha il collo tettaro, la
rimandiamo a casa”. Debolissimo e spossato. Finalmente dopo 15 ore di pronto
soccorso, una serie interminabile di bestemmie (alcune in idiomi che neanche
conosco) e una terapia da seguire, ritorno a casa …. “e il terzo giorno resuscitò secondo le scritture”
sabato 21 giugno 2025
E' una cagata pazzesca
Ieri sera ero abbastanza sereno. Ho cenato con una generosa dose di
carboidrati. Ho bevuto una Punk Ipa
in terrazzo e quando ho deciso di guardare un film ero sicuro e fiducioso della
scelta fatta. Ignaro e inconsapevole che il film giusto per rilassarmi sul
divano fosse, in realtà, in assoluto una delle decisioni peggiori prese negli
ultimi tempi. Questa mattina mi sono svegliato pensando: “Io sono la fine del mondo” è una
cagata pazzesca (42 minuti di applausi). Eppure le aspettative erano tante.
Fino a ieri sera l’anti-comico siciliano Angelo Duro mi piaceva. Il suo stile
crudo, essenziale e cinico mi faceva sorridere. Apprezzavo sinceramente il suo
prendere di mira tutto e tutti senza peli sulla lingua. Ma dopo ieri sera ….. mmhhh. Fare
un film del genere e spacciarlo per commedia all’italiana richiede molto
coraggio. Distante, impersonale, grottesco (non in senso buono). Un mix
soporifero di banalità, stronzate e sketch prevedibili e scontati. Dialoghi
scritti male, battute inutitli e una trama ordinaria hanno reso l’ennesimo
teletrasporto di un comico teatrale sul grande schermo uno sconforto unico. Ma
che grandissimo cazzo. Non ci siamo proprio. La commedia italiana che ha reso
grande il cinema è ben altra cosa. Sono certo che la commedia debba provocare,
è un fatto, ma farlo senza una riflessione, no. Un tempo si rideva e, soprattutto,
ci si ritrovava nei personaggi. Noi stessi, un vicino, i parenti, il commesso
del negozio (ecc… ecc..) esistevano realmente. Qui siamo nell'iperuranio. Questo film è l’ennesima
delusione. Un bullo pop pieno di concetti spazzatura dove non si ride di se ma
solo degli altri. Imbarazzante. Monicelli si starà rivoltando nella tomba. Comunque
non essendo un critico cinematografico, questa è solo la mia personale opinione.
Cosa mi è venuto in mente ieri sera? “Io sono la fine del mondo” mi ha rovinato
il venerdi. Vaffanculo!!!
venerdì 20 giugno 2025
It's friday i'm in love
Pasta a cena? Certamente. Padella antiaderente, un po’ di olio e due pugni di
pangrattato. Faccio tostare fino a quando non diventano del colore dello
zucchero di canna. Metto in una ciotola, prendo un limone e ne grattugio dentro
un pò di buccia. Mischio. Butto gli spaghettoni nell’acqua. Nel frattempo, in
una padella: aglio, olio, abbondante peperoncino
e una dose massiccia di pasta d’acciughe. Faccio soffriggere per bene e allungo
con 2/3 cucchiai di acqua di cottura. Grazie all’amido si crea una bella
cremina. Scolo gli spaghettoni, li butto in padella e aggiungo il pangrattato.
Mangio. Divano. It’s Friday i’m in love!!! zzzzz ..... zzzzz ..... zzzzz .....